
Creare un gioco da tavolo – perché no?! (prima parte)
Così mi sono detto qualche mese fa mentre quella che sembrava un’idea che si affacciava ogni tanto in una piccola finestra della mente, cominciava, invece, a bussare con una certa insistenza.
Una veloce premessa su alcuni punti:
- Di tutorial su come creare un gioco da tavolo ce ne sono parecchi su Internet. Questo è solo il racconto delle mie frustrazioni, difficoltà e insuccessi nel tentativo di raggiungere il mio obiettivo che non è aver un prodotto fatto, finito e pubblicato, ma solo quello di aver il piacere di poter creare qualcosa che possa definire “mio” e che sia giocabile e si spera divertente.
- Un paio di anni fa ho seguito un corso per Game Designer di Tamboo Create
- È il mio primo progetto di questo tipo
- Il gioco è appena stato play testato nella sua prima versione che definirei generosamente, pre alfa da volenterosi tra cui Grumpy Ze.
- Dopo i feedback lo sto ricostruendo praticamente da zero il che lo rende un perfetto soggetto da raccontare in una serie di articoli fino al suo, si spera, al suo compimento
Creare un board game è un’esperienza eccitante e creativa che spazia dalle regole del gioco ai componenti, dalla grafica all’ambientazione.
Si definisce l’obiettivo del gioco, le meccaniche di base e il target che si vuole raggiungere, si sviluppa un concept che possa rendere il gioco unico fino a creare un prototipo per testarne le idee di base e rifinire le idee che ne sono le fondamenta.
Playtestare con altri giocatori e game designers per ricevere feedback e tornare su tutto quello che si è fatto fino a quel momento serve per migliorare l’esperienza di gioco.
Per ultimo ci si focalizza sulla creazione dei componenti definitivi per renderlo graficamente coerente, piacevole alla vista ed un prodotto finito.
In definitiva é un viaggio, lungo, non facile, un’altalena di emozioni, un continuo spingere la mente a trovare soluzioni logiche e coerenti, costanza e capacità di apprendere dai propri errori e di sapere che probabilmente ce ne saranno parecchi nel prototipo e altrettanti ne faremo prima di arrivare a quel punto. Una buona cintura di sicurezza potrebbe essere necessaria. Ognuno ha la sua. Forse la mia è un’insana predisposizione all’ottimismo e al credermi comune e in grado di poter arrivare alla fine del percorso.
È un viaggio che deve seguire certi step.
Ora che sono fermo in area di sosta, slaccio la cintura e vediamo di raccontare come sono andate le cose finora.
Partiamo con ordine:
- Definire un obiettivo di gioco.
Questo è stato un momento complesso. Cercare quale sia l’esperienza di gioco che si vuole far vivere ai giocatori, quali sono le difficoltà a cui volessi che fossero sottoposti e che potessero risolvere o meno.
La mia idea di fondo era questa: dare una serie di eventi, penalizzanti se non risolti, senza soluzione di continuità, con carenza di risorse in un ambiente semi cooperativo, sia attraverso un’interazione diretta tra giocatori, sia con una meccanica di simulazione economica semplice basata su domanda ed offerta. Tutto ciò avrebbe dovuto creare una sorta di ansia e agitazione crescente mista alla distensione e all’appagamento da raggiungimento degli obiettivi.
Detta così sembrava una cosa non troppo difficile in fondo.
Quindi il passo successivo era scegliere un gioco che di base potesse avere la meccanica richiesta.
Perché non creare direttamente un sistema di gioco nuovo?
Perché come ho imparato lavorando nella comunicazione visiva, la creazione di contenuti veramente innovativi è spesso una chimera. Partire da qualcosa di già creato per poi svilupparlo nella direzione scelta, è la decisione
migliore quando si vuole partire con un nuovo progetto. Più semplicemente, anche, non penso di aver avuto un’idea innovativa in partenza.
E quindi eccomi qui, gasato e pronto a sviluppare la mia idea, con quella che vorrei fosse l’esperienza da far provare ai giocatori, ma andando con ordine adesso si poneva alla mia mente con insistenza il punto successivo prima di poter cominciare a metter mano alla mia idea: a che target volevo rivolgermi?
- Scegliere un target
Avevamo scelto l’obiettivo del gioco, ma per qualche tempo sono rimasto più di un’ora buona a pensare a che target volessi rivolgermi e a che difficoltà portare il gioco.
Volevo qualcosa di facile, veloce e giocabile, diciamo in un breve intervallo di tempo indifferentemente dal numero di giocatori? Un fillerone magari?
Un gioco più vicino ad una simulazione, ma senza troppe regole ed eccezioni alle stesse? Un peso medio?
Dedicarmi ad un “brucia neuroni” che alla fine della sessione non solo farebbe sentire un po’ storditi e, personalmente, non in grado di giudicare il suo valore se non dopo una sana dormita atta non solo a recuperare dallo sforzo, ma anche a digerire ed assimilare, davvero e totalmente, l’esperienza ludica della serata precedente?
Un gioco di che tipo quindi e per quale età?
Volevo qualcosa di sfidante, con una buona varietà di opzioni per essere rigiocato più volte.
Domande su domande a cui dare un risposta. Queste per me sono le parti più difficili di un processo creativo, ma anche, purtroppo per me, le fondamentali.
Così mi sono messo a pensare ad un gioco che, in definitiva, è abbastanza semplice e veloce pur avendo una buona dose di simulazione.
Tiny Epic Galaxy della Gamelyn Games per me è un buon esempio.
Basandomi su questa scelta, l’idea di fondo diventava un gioco da poter giocare in un’oretta, per giocatori con nessuna o media esperienza di un’età dai 14 anni in sù con componenti minimi e tali da poter stare in una scatola di piccola/media dimensione.
Nella mia mente immaginavo soprattutto universitari giocarci in pausa pranzo. Qual dolce illusione, ma soprattutto antichi ricordi di tempi che furono.
Posso affermare sin da ora che il target si è evoluto con il passare del tempo e delle idee che con i passi successivi hanno cominciato ad affollare la mia mente
Come tutti i processi creativi esistono quei momenti dove le idee prendono un po’ il sopravvento sullo schema che ci siamo prefissati o che abbiamo cercato di imporci.
Sempre per esperienza so che la vera creatività non si esalta semplicemente nel far sgorgare un flusso costante di idee, ma nel riuscire ad imbrigliarle nell’ordine e nello spazio che il nostro modello richiede.
È necessario saper scartare le idee che non rientrano negli obiettivi prefissati. Averne tante rimane certamente un pregio.
Con il senno di poi posso dire di non aver seguito bene questa linea di condotta.
Cosa avrebbe potuto e dovuto rendere il mio gioco degno di essere giocato?
Con questa ennesima domanda mi sono spinto al punto successivo con un buono slancio e tanta incoscienza.
- Sviluppare un concetto unico
Con la premessa che, ormai, il mio cervello era già al limite dello sforzo giornaliero mi sono imposto di cominciare delineare il gioco in sé e per sé per capire io stesso, per primo, dove avrebbe potuto risiedere questo concetto di unicità.
Il progetto partiva già con l’idea di utilizzare alcune solide meccaniche già presenti in altri giochi e quindi testate.
Potevo quindi escludere, a meno di colpi di genio inaspettati e improvvisi, che potessi annoverare una meccanica innovativa a far risplendere questo design.
Cominciava però ad affiorare il temo del gioco: nascita, espansione e decadenza di un impero.
Anche con questo non potevo certo dire, in tutta onestà, di aver centrato qualcosa di mai tentato in ambito ludico.
La chiara inabilità a trovare quella scintilla di novità tanto cercata era ormai palese.
Come risolvere questa sorta di impasse creata dall’ennesima domanda a cui non potevo dare una risposta onesta e diretta?
Ovviamente dovevo aggirare ll problema e portare avanti il progetto con la speranza che l’illuminazione potesse arrivare con il lavoro sulla base di quello che avevo già deciso.
Rimanevo forte della mia terza regola di base a cui appellarmi: non esiste un “metodo di creazione di un gioco universale”. Anche questa scaletta, questa divisione per argomenti, non è nulla di più che una traccia da seguire per avere un minimo di ordine nell’esposizione di un processo creativo perchè, di mio, ho deciso di seguirla anche nella realizzazione di questo primo prototipo.
Ogni processo creativo segue le sue strade più o meno lineari e articolate, con logiche diverse per ciascuno di noi.
Per cui, senza la famosa risposta e con la decisione di non aspettare che mi scendesse dall’alto e da chissà dove, ho cominciato a delineare tutte le idee che mi venivano in mente con l’aiuto di un software di mappa mentali.
La stanchezza è di colpo svanita.
In quel preciso momento il processo creativo ha preso una direzione diversa ad ogni nuovo spunto e nuova idea che mettevo in questa mappa.
È stato un processo che è durato giorni e che ha dato una linea guida chiara da seguire ed allo stesso tempo mi ha portata ad annotarmi altre idee per altri giochi.
Tuttavia più procedevo in questo ardito salto nel vuoto, più mi sentivo galvanizzato e allo stesso tempo cominciavo ad inserire quella sorta di embrione di meccaniche che avrebbero dovuto essere gli ingranaggi del gioco.
- Progettare il gioco con meccaniche e regole
Come ho scritto al punto 1 avevo bisogno di trovare un semi cooperativo in grado di darmi un minimo di gestione risorse e risoluzione eventi.
Mistborn: House War di Kevin Wilson edito della Crafty Games è stato il gioco che ho scelto.
Il gioco, tratto dai romanzi di Sanderson, ben si attagliava alla mia idea di fondo.
Su un tracciato di righe e colonne si spostano eventi che le Case Nobiliari devono risolvere prima che arrivino al fondo del tracciato di appartenenza e se rimanessero irrisolti porterebbero i giocatori ad avere malus e penalità.
Possono interagire, accordarsi, commerciare in risorse e hanno una rendita di base.
Avevo trovato il motore di base da cui partire.
Per semplificare ho scelto di ridurre il numero di risorse dalle 6 di Mistborn a 4.
Il primo passo e stato studiare le carte evento del gioco e dividerle in un simpatico foglio excel con tutte le loro caratteristiche: costo in risorse, punti vittoria e atto di appartenenza.
Lavoro che è durato un paio di serate.
Aggiungevo sulla mappa mentale e su un semplice file di testo, in modo più specifico e approfondito, le idee e le regole mentre alla categoria materiali apparivano nuove voci.
Sentivo di aver troppa carne al fuoco rispetto al target che mi ero prefissato.
Tutto stava sfuggendo di mano, si complicava. Sentivo che stava arrotolandosi su se stesso, ed io cominciavo a confondermi.
Il punto critico l’ho avuto quando ho inserito l’idea di un’economia di base con un mercato basato sulla domanda ed offerta per dare l’opportunità ai giocatori meno inclini alle interazioni dirette con gli altri al tavolo un modo di poter risolvere gli eventi per proprio conto.
Invece di semplificarne il design, mi poneva nuove sfide da risolvere.
Forse, in questo momento, ho commesso l’errore più grande: ho lasciato che fosse la possibile ambientazione a darmi le risposte invece che trovare le meccaniche adeguate ai dilemmi.
Di fondo le idee non sono per se stesse meccaniche di gioco, ma l’idea è l’obiettivo che devo raggiungere con una o più meccaniche. Lo stesso vale per l’ambientazione.
Un gioco deve poter funzionare anche senza un’ambientazione precisa, ma essere valida per molte. Certo una di loro sarà la migliore possibile per quel gioco e diventare la scelta auspicabile.
Per cui invece di trovare soluzioni, ho trovato giustificazioni tematiche sul perché qualcosa potesse essere corretto o meno all’interno del gioco.
Felice e beato, proseguivo su questa strada fino alla chiusura della mappa mentale e dell’abbozzata stesura delle regole.
Per aiutarmi a visualizzare il tutto, che per me comunque era anche un modo per verificare le idee anche come area gioco, ho cominciato a creare le plance di gioco in modo abbozzato.
Altri giorni divertenti, ma è stato uno sforzo che potevo evitarmi. Se non altro, però, ha avuto il merito di darmi una visione più ampia del numero di elementi di cui avrei avuto bisogno.
Proseguivo su questa strada con l’obbligo di unire le varie anime che avevo sviluppato e che erano completamente slegate con una meccanica che non solo potesse unire il tutto in maniera coesa, ma cementare in maniera solida il fluire del gioco.
Il rapporto tra azione e relativa conseguenza che ne deriva è stata la scelta che ho fatto.
Altra meccanica, altro scostamento dal mio target originale.
Certo, ero e sono ancora convinto, che fossero incentrate sul motore del gioco e non fossero di difficile apprendimento e di fondo tutte o quasi incentrate su un causa-effetto di facile comprensione.
Non dimentichiamo anche le azioni che i giocatori potevano effettuare da aggiungere al mix.
Dove non andavano a relazionarsi direttamente sul motore del gioco, ma sulla creazione di un sistema di acquisizione risorse personali con cui poter interagire con la meccanica principale, si creava la necessità di andare a creare altre meccaniche che, sono convinto anche ora, non erano assolutamente complesse.
In tutta onestà non posso definire una meccanica di maggioranza qualcosa di complesso.
Risolte, all’apparenza, quelle che mi sembravano tutti i problemi al flusso di gioco su cui i miei occhi potessero posarsi, presi in mano le regole di riferimento scritte fino a quel momento.
Erano passate almeno un paio di settimane.
Appunti fondamentali inseriti sulle pagine stampate con la mia grafia che definire incomprensibili era un gentile eufemismo non hanno facilitato il compito che, in teoria, avrebbe dovuto essere di sintesi definitiva.
Altra momento di grande confusione.
Per risolverlo un altro software mi è venuto in aiuto.
Ho disegnato, così, più diagrammi di flusso per aiutarmi a dipanare la matassa che avevo contribuito a creare.
Con l’avanzare dei diagrammi, e il conseguente miglioramento che il maggior ordine portava ad ogni passaggio, mi sentivo galvanizzato.
Nella mia mente tutto girava bene.
C’erano molte possibilità per creare una buona economia di base per i giocatori, il numero di azioni a loro disposizione era cospicua e limitata solo dalla loro volontà e disponibilità di risorse, forse troppo e poteva generare analisi paralisi, il sistema di causa/effetto funzionava senza problemi e il motore del gioco sembrava girare con facilità.
Mancavano le carte evento da gettare nel mix con i pianeti visto che da un’impero avevo virato su un progetto più diretto alla fantascienza e alla creazione di una Federazione.
Anche qui nulla di innovativo.
Decidevo di mantenermi sul gioco scelto e senza volermi complicarmi la vita, decidevo di utilizzare per un test le carte di Mistborn modificandole per la differenza, aggiungendo o togliendo, nella richiesta in risorse dove necessario.
Tutto sarebbe stato bilanciato e tutto avrebbe girato perfettamente.
Cieco ottimismo o inesperienza totale?
Forse tutte e 2.
Mi sentivo pronto per cominciare a creare il prototipo per il test.
→ Vai alla Parte 2